Riportiamo i commenti letti dalla voce narrante, tratti da testi di Papa Francesco.
Commento alla prima scena: la preghiera di Gesù
Da Evangelii Gaudium, n. 49:
Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37).
Commento alla seconda scena: nella Cena del Signore
Da Evangelii Gaudium, n. 24:
La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. “Primerear – prendere l’iniziativa”: vogliate scusarmi per questo neologismo. La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1 Gv 4,10), e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva. Osiamo un po’ di più di prendere l’iniziativa! Come conseguenza, la Chiesa sa “coinvolgersi”. Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: «Sarete beati se farete questo» (Gv 13,17). La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce. Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare”. Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere. Conosce le lunghe attese e la sopportazione apostolica. L’evangelizzazione usa molta pazienza, ed evita di non tenere conto dei limiti.
Commento alla terza scena: l’arresto di Gesù
Dal Messaggio di Papa Francesco per la XLVII Giornata Mondiale della Pace:
La fraternità ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata. Ma è solo l’amore donato da Dio che ci consente di accogliere e di vivere pienamente la fraternità.
Cristo abbraccia tutto l’uomo e vuole che nessuno si perda. «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17). Lo fa senza opprimere, senza costringere nessuno ad aprirgli le porte del suo cuore e della sua mente. «Chi fra voi è il più grande diventi come il più piccolo e chi governa diventi come quello che serve» dice Gesù Cristo «io sono in mezzo a voi come uno che serve» (Lc 22,26-27). Ogni attività deve essere, allora, contrassegnata da un atteggiamento di servizio alle persone, specialmente quelle più lontane e sconosciute. Il servizio è l’anima di quella fraternità che edifica la pace.
Commento alla quarta scena: Gesù davanti al Sinedrio
Da Evangelii Gaudium, n. 93-97:
La mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa, consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana ed il benessere personale. […] In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia. In tal modo la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi. In tutti i casi, è priva del sigillo di Cristo incarnato, crocifisso e risuscitato, si rinchiude in gruppi di élite, non va realmente in cerca dei lontani né delle immense moltitudini assetate di Cristo. […]
Chi è caduto in questa mondanità guarda dall’alto e da lontano, rifiuta la profezia dei fratelli, squalifica chi gli pone domande, fa risaltare continuamente gli errori degli altri ed è ossessionato dall’apparenza. […]
È una tremenda corruzione con apparenza di bene. Bisogna evitarla mettendo la Chiesa in movimento di uscita da sé, di missione centrata in Gesù Cristo, di impegno verso i poveri. Questa mondanità asfissiante si sana assaporando l’aria pura dello Spirito Santo, che ci libera dal rimanere centrati in noi stessi, nascosti in un’apparenza religiosa vuota di Dio. Non lasciamoci rubare il Vangelo!
Commento alla sesta scena: Gesù davanti a Pilato
Da Il pane sporco della corruzione, meditazione mattutina di Papa Francesco nella Cappella della Domus Sanctae Marthae dell’8 novembre 2013:
Dio ci ha comandato di portare il pane a casa con il nostro lavoro onesto. Invece molti amministratori danno da mangiare ai figli pane sporco. E questo è un peccato grave. Magari s’incomincia con una piccola bustarella, ma è come la droga. E anche se la prima bustarella è piccola, poi viene quell’altra e quell’altra: e si finisce con la malattia dell’assuefazione alle tangenti.
Siamo davanti a un peccato tanto grave perché va contro la dignità. Quella dignità con la quale noi siamo unti col lavoro. Quando noi leggiamo nei giornali o guardiamo sulla tv uno che scrive o parla di corruzione, forse pensiamo che la corruzione è una parola. In realtà corruzione è questo: è non guadagnare il pane con dignità.
C’è però un’altra strada, quella della “furbizia cristiana”, tra virgolette, che permette di fare le cose un po’ svelte ma non con lo spirito del mondo. Lo stesso Gesù ce l’ha detto: astuti come i serpenti, puri come le colombe. Mettere insieme queste due realtà è una grazia e un dono dello Spirito Santo. Per questo dobbiamo chiedere al Signore di essere capaci di praticare l’onestà nella vita, quella onestà che ci fa lavorare come si deve lavorare, senza entrare in queste cose. Questa “furbizia cristiana” è un dono, è una grazia che il Signore ci dà. Ma dobbiamo chiederla.
Commento alla nona scena: la Crocifissione
Dall’omelia di Papa Francesco nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, 1° gennaio 2014:
Il nostro cammino di fede è legato in modo indissolubile a Maria da quando Gesù, morente sulla croce, ce l’ha donata come Madre dicendo: «Ecco tua madre!» (Gv 19,27). Queste parole hanno il valore di un testamento e danno al mondo una Madre. Da quel momento la Madre di Dio è diventata anche Madre nostra! Nell’ora in cui la fede dei discepoli veniva incrinata da tante difficoltà e incertezze, Gesù li affidava a Colei che era stata la prima a credere, e la cui fede non sarebbe mai venuta meno. E la “donna” diventa Madre nostra nel momento in cui perde il Figlio divino. Il suo cuore ferito si dilata per fare posto a tutti gli uomini, buoni e cattivi, tutti, e li ama come li amava Gesù.
E dal Messaggio di Papa Francesco per la XXII Giornata Mondiale del Malato:
Chi sta sotto la Croce con Maria, impara ad amare come Gesù. La Croce «è la certezza dell’amore fedele di Dio per noi. Un amore così grande che entra nel nostro peccato e lo perdona, entra nella nostra sofferenza e ci dona la forza per portarla, entra anche nella morte per vincerla e salvarci…
Commento alla decima scena: la Resurrezione
Da Evangelii Gaudium, n. 276 e 278:
La sua risurrezione non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali. È vero che molte volte sembra che Dio non esista: vediamo ingiustizie, cattiverie, indifferenze e crudeltà che non diminuiscono. Però è altrettanto certo che nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo, che presto o tardi produce un frutto. In un campo spianato torna ad apparire la vita, ostinata e invincibile. Ci saranno molte cose brutte, tuttavia il bene tende sempre a ritornare a sbocciare ed a diffondersi. Ogni giorno nel mondo rinasce la bellezza […]
La risurrezione di Cristo produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo; e anche se vengono tagliati, ritornano a spuntare, perché la risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia, perché Gesù non è risuscitato invano.