di Monica Del Vecchio
Questa estate ho fatto un viaggio nel tempo. Quella che il 3 agosto ha accolto me ed altri 5 ragazzi della diocesi di Bari – Bitonto, accompagnati da don Antonio Ruccia, è una terra bellissima, dove ancora è possibile incontrare carretti trainati da buoi lungo strade assolate battute da pochissime auto. Una terra accogliente, dove i ragazzi ti corrono incontro a piedi nudi, pronti a trascinarti nelle loro case per mostrarti con semplicità la vita fra le piccole mura domestiche. È una terra che ha voglia di ricominciare e di crescere. Questa terra si chiama Albania.
Nei cinque giorni (pochi!) di permanenza a Scutari siamo stati ospiti di una struttura gestita dall’Opera Madonnina del Grappa, un’opera della Provvidenza che ha sede a Firenze e che a Scutari ha una missione: essa infatti gestisce un poli-ambulatorio cardiologico, ginecologico e fisioterapico, a cui collaborano suore, dottori e specialisti italiani. Accanto a questa attività, l’Opera gestisce anche due case-famiglia: una per ragazze orfane e l’altra per adulti portatori di gravi disabilità mentali. E’ presso queste case famiglia che alcuni di noi hanno potuto prestare servizio durante il campo, cercando di portare innanzitutto la propria vicinanza umana agli ospiti e mettendo a frutto, per quanto possibile, le proprie personali competenze. Personalmente ho potuto visitare le due case soltanto in occasione di uno spettacolo di clownerie organizzato da un altro gruppo di giovani italiani che si trovava a Scutari. E’ stata un’esperienza fortissima: il desiderio di esprimere prossimità agli ospiti delle case si scontrava con il disagio del trovarsi così vicini alla “diversità”.
La mia esperienza diretta di servizio si svolgeva invece appena fuori Scutari, in un paesino nascosto nelle bellissime montagne che la abbracciano, a Ragam. Lì ho partecipato come animatrice ad un campo estivo per ragazzi organizzato dall’associazione “I care”, un’associazione di giovani albanesi legata all’Opera Madonnina del Grappa e alla figura di Don Lorenzo Milani e che organizza attività estive nelle zone circostanti la città. Il campo con i ragazzi è stato per me una vera e propria sfida. È stata infatti la prima volta in cui mi sono cimentata in attività creative per ragazzi così piccoli (quasi tutti preadolescenti), con la difficoltà ulteriore della lingua: nessuno di loro capiva l’italiano! Il bello è stato proprio mostrarsi totalmente incapaci di capire l’albanese… facendo di questo ostacolo un’occasione di divertimento… per loro soprattutto… per poi meravigliarsi di quanto sia semplice comunicare con gli occhi.
L’Albania è una terra incantevole, lontanissima dall’idea che ne avevo prima di visitarla. È una terra dove il desiderio di andare avanti, di scrollarsi dalle spalle la polvere della dittatura, deve però fare i conti con la difficoltà di imparare un nuovo concetto: il prendersi cura del proprio territorio, della propria gente. Andato via il padrone, spetta a tutti rimboccarsi le maniche e costruire un paese, accompagnarlo verso uno sviluppo razionale e sostenibile.
L’Albania è una piccola bambina che vuole imparare a camminare. Può contare sull’aiuto di tantissimi giovani di buona volontà, con tanta voglia di spendersi per gli altri dopo aver vissuto anni nella cultura del sospetto. L’entusiasmo di questi giovani, soprattutto di quelli con cui ho avuto la gioia di collaborare a Ragam, mi è stato di stimolo e mi rimanda continuamente ad un impegno preciso: “a me importa”!